Oggi nel mondo un essere umano su due è collegato a Internet, per un totale di 3,58 miliardi di persone che ogni giorno usano computer, smartphone ma anche automobili smart, sistemi di domotica, contatori elettrici connessi alla rete web e molto molto altro ancora. Si calcola che per il 2020 saranno 28 miliardi nel mondo i devices connessi. Una cifra spaventosa che preavvisa una grande rivoluzione nel nostro modo ci concepire e rapportarci con la realtà, con la vita, il lavoro, i mercati. Questi strumenti infatti e le persone che li usano producono ogni istante quantità incredibili di dati: dati su spostamenti, preferenze, ore di utilizzo ma anche informazioni più private come quelle legate alla salute o al benessere economico e sociale. Sono i famosi Big Data, una parola magica di cui si parla da alcuni anni come qualcosa di estremamente futuristico, il mattoncino con cui sarà costruito il nostro roseo futuro di domani. Tuttavia i dati sono nulla senza che si attribuisca loro un significato. Ed è per questo che la nuova frontiera oggi nell’uso dei dati si è spostata ancora più avanti: si parla così oggi di Smart Data, un concetto che unisce la disponibilità di grosse quantità di informazioni con la necessità di accumularle con criteri che li rendano facilmente applicabili in ambito esecutivo e gestionale.
Ma procediamo con ordine.
L’ultima grande evoluzione di internet.
Internet nasce nel 1996 dalle menti del team di ingegneri e scienziati capitanato dal futuro premio Nobel Tim Bernard Lee. Inizialmente nasce come raccolta di testi tra loro collegati per parole chiave. I dati disponibili erano limitati ed erano generati soltanto da quelle aziende o privati che, acquistando un dominio, mettevano online determinate informazioni.
La prima rivoluzione, quella che fece parlare di WEB 2.0, arriva nel 2003 con il boom dei Social Network: Friendster, il primo Social di successo, nasce nel 2002, MySpace nel 2003 e in questo periodo vede la luce anche Facebook che muove i suoi primi timidi passi nel Febbraio del 2004. Per la prima volta anche i singoli utenti del web diventano non solo content creators, ma anche generatori di dati, rintracciabili dai gestori dei social network e facilmente analizzabili.
La seconda grande rivoluzione è quella dell’Internet 3.0, o Internet delle Cose (IoT, l’acronimo inglese). Non più solo esseri umani, ma anche i vari strumenti tecnologici ora possono produrre dati, metterli in rete, scaricarli, leggerli e agire di conseguenza. Lo smartphone è stato il perno di questa svolta epocale: non tanto lo strumento che ci ha messo internet in tasca, è stato piuttosto lo strumento che ha definitivamente messo noi in rete. I devices che noi utilizziamo oggi sono grandi raccoglitori di informazioni come: gli spostamenti, le ore di sonno, le ore di utilizzo, le nostre preferenze di acquisto, le nostre fattezze, i nostri contatti. Tutto questo viene salvato e conservato nei sicurissimi server online delle compagnie che raccolgono questi dati (Apple, Google, Facebook,…) ponendo spesso seri problemi circa il loro utilizzo. Internet, in altre parole, è diventato un grande accumulatore di dati, un grande database, con informazioni generate non solo da aziende o persone, ma anche da macchine. Dati che a loro volta possono essere utilizzati da altre strumentazioni tecnologiche (le app del nostro cellulare ad esempio, che usano Internet senza connettersi a browser).
La grande rivoluzione del web 3.0, ovvero il web come grande database, consiste quindi nell’avere a disposizione online grandi moli di dati accumulati mantenendo il loro contesto semantico – cosa che li rende facilmente collegabili tra loro e facilmente utilizzabili da strumenti che usano l’intelligenza artificiale (motori di ricerca, strumenti di analisi, ma anche macchinari per l’industria). Il web 3.0 segna definitivamente l’approdo quindi di un nuovo concetto di dati: i LINKED DATA.
Da big data a smart data
Raccogliere grandi quantità di dati non è sufficiente. I dati da soli non significano nulla se non è possibile metterli in relazione gli uni con gli altri. A un’azienda di spedizioni non serve avere la lista degli indirizzi dei suoi clienti se poi non riesce a integrare queste informazioni con quelle di un servizio di mappe, o con l’elenco dell’entità e della quantità di ordini dei suoi clienti.
Il volume non basta: serve il valore. È questo il perno del passaggio dal concetto di BIG DATA, a quello di SMART DATA. Le informazioni devono essere raccolte mantenendo parte del loro significato: non più liste di parole e numeri ma insiemi di “indirizzi”, oppure “nomi clienti”, oppure “tipologie dei colli”. In questo modo i dati sono facilmente collegabili tra loro – si parla quindi di LINKED DATA – e ciò può essere fatto in tempi brevissimi grazie ai dispositivi e ai software aziendali che utilizzano sistemi di intelligenza artificiale.
Si tratta quindi di un passaggio anche da velocità a incremento: più riesco ad accumulare e integrare dati, più elimino le ridondanze, le sovrapposizioni, i dati che non ho più necessità di raccogliere. Il risparmio di tempo aumenta in modo esponenziale.
L’utilizzo dei Linked data permette anche un passaggio dal concetto di varietà, più informazioni possibili, a quello di completezza: raccolgo tutte e soltanto le informazioni che mi servono. C’è una maggiore raffinatezza quindi. L’idea di completezza poi racchiude in sé l’idea del colpo d’occhio: con l’integrazione di varie classi di dati resa disponibile dagli smart data posso avere accesso, in una sola volta, ad analisi e report generati includendo in un solo grafico esplorabile tutte le informazioni necessarie.
Infine si tratta di un passaggio anche dalla veridicità dei big data, sicuramente veri in quanto raccolti in vario modo da macchine e quindi difficilmente manipolabili, alla affidabilità degli smart data: il fatto di avere una precisa semantica e un minimo rischio di ridondanze permette alle aziende di avere accesso a informazioni che non devono essere ulteriormente sfoltite o ripulite, ma sono “ready to use”.
Come sfruttare gli smart data in ambito aziendale
Le aziende raccolgono una miriade di dati ogni giorno: le statistiche delle vendite, le informazioni raccolte sui clienti, le performance dei vari reparti,… La sfida è dare un significato, una semantica, a tutti questi dati in modo da renderli *smart data* e integrarli tra loro accumulandoli in un database “smart” facilmente consultabile che potremmo chiamare “Base della Conoscenza”. Per fare questo il procedimento è piuttosto semplice. Linkeddata.center, società leader nel settore della gestione dei dati aziendali, mette a disposizione delle imprese la piattaforma “SDaaS”, acronimo di Smart Data as a Service: un prodotto in grado di creare in poche settimane, a partire dai dataset aziendali, una “Base della Conoscenza” in cui i dati aziendali saranno accumulati in tutta sicurezza secondo i più moderni protocolli di archiviazione per smart data. Questo fa sì che un’azienda possa facilmente integrare questi dati con le nuove informazioni che nel tempo raccoglie.
Viene inoltre fornito un endpoint, una sorta di porta di ingresso per questa Base della Conoscenza, attraverso il quale i manager possono formulare le domande che vogliono rivolgere ai propri dati e ottenere veloci risposte. Il ritorno economico di questa operazione per le aziende è enorme e misurabile: permette di abbattere i tempi di gestione, diminuire il rischio, avere il maggiore controllo possibile sullo stato dell’azienda e delle sue operazioni. I principali attori del mondo ITC utilizzano gli smart data già da anni: Google, IBM, Facebook e Microsoft, solo per citarne alcuni. Ma ora questa rivoluzione sta prendendo piede anche in Italia.
Il momento per aggiornare la tua azienda è arrivato. Gioca in anticipo, investi nei tuoi dati.