L’espressione FUDEDUR, acronimo di Fatti Una Domanda E Datti Una Risposta, è entrata stabilmente nell’immaginario collettivo italiano grazie alle celebri interviste notturne di Gigi Marzullo. Nella percezione comune, il motto appare un invito leggero, quasi ironico, a rivolgere lo sguardo verso se stessi. Tuttavia, al di sotto della sua apparente semplicità, esso nasconde un atteggiamento epistemologico più profondo: una forma elementare ma efficace di circolo ermeneutico, cardine della tradizione filosofica che va da Schleiermacher e Dilthey fino a Gadamer e Ricoeur.
In realtà FUDEDUR può essere interpretato come un gesto ermeneutico, nel quale il soggetto non solo si pone domande, ma si offre anche le condizioni per comprenderle e rispondere. Comprendere, infatti, non è mai un atto passivo, ma il risultato di un movimento dialogico che unisce domanda, interpretazione e auto-comprensione.
L’ermeneutica come arte dell’interpretazione
L’ermeneutica nasce come disciplina dedicata alla corretta interpretazione dei testi, soprattutto sacri o giuridici. Con Friedrich Schleiermacher, essa si trasforma in una teoria generale della comprensione: interpretare significa ricostruire l’intenzione dell’autore e il contesto linguistico del testo (Hermeneutik, 1838). Schleiermacher introduce l’idea che ogni comprensione sia un equilibrio tra due poli:
- l’interpretazione grammaticale (capire le parole nel loro uso storico e linguistico);
- l’interpretazione psicologica (comprendere l’autore dall’interno).
Questo duplice movimento anticipa il principio per cui ogni atto interpretativo rimanda a una domanda che ci poniamo sul testo e a una risposta che tentiamo di costruire.
Con Wilhelm Dilthey, l’ermeneutica diventa fondamento delle scienze dello spirito. Nell’opera Introduzione alle scienze dello spirito (1883), Dilthey sottolinea che comprendere significa ri-vivere (Nachleben) le esperienze altrui, riconfigurandole nella nostra interiorità. La domanda - “che cosa significa?” - e la risposta - “ciò che comprendo è…” - si articolano così all’interno di un processo dinamico, non meramente razionale.
Infine, il Novecento vede un ripensamento radicale con Hans-Georg Gadamer, autore di Verità e metodo (1960). Per Gadamer, comprendere significa entrare in un dialogo infinito tra il presente e la tradizione. L’atto interpretativo è strutturato come un incontro tra prospettive: il testo ci interpella, ci costringe a porre domande, e noi rispondiamo attraverso i nostri pregiudizi (nel senso non negativo di orizzonti di senso). È qui che si consolida il concetto di circolo ermeneutico: comprendiamo il tutto a partire dalle parti e le parti a partire dal tutto, in un movimento continuo.
Dal circolo ermeneutico al paradigma FUDEDUR
Nella sua versione popolare, FUDEDUR richiama una forma di introspezione che avviene attraverso un dialogo immaginario. Si tratta, in realtà, di una struttura perfettamente compatibile con la logica dell’ermeneutica filosofica:
(a) La domanda come apertura di senso
Ogni interpretazione inizia con una domanda. Per Gadamer, “non si comprende nulla se non si è entrati in una domanda” (Verità e metodo, II parte). Nel FUDEDUR, il soggetto si obbliga a un gesto di sospensione: riconosce che c’è qualcosa da chiarire, da portare alla coscienza.
(b) La risposta come costruzione interpretativa
Darsi una risposta non significa chiudere la questione, ma fornire una prima configurazione di senso. Analogamente, per Paul Ricoeur, nella trilogia Tempo e racconto (1983-1985), la comprensione nasce da una configurazione narrativa: organizziamo il reale in una forma coerente attraverso un atto interpretativo.
© Il dialogo con se stessi come dialogo ermeneutico
Il FUDEDUR non chiede di trovare la risposta, ma una risposta. Questo è perfettamente coerente con la tradizione ermeneutica, che rifiuta soluzioni definitive: comprendere è sempre interpretare, e interpretare è riformulare continuamente.
Esempi accademici di applicazione del paradigma FUDEDUR
Per rendere più chiaro il parallelismo, si possono individuare casi in cui un approccio FUDEDUR coincide con un metodo filosofico o scientifico:
Analisi del testo letterario (Schleiermacher)
Lo studioso che affronta un romanzo si chiede: Qual è l’intenzione estetica dell’autore? Si dà una risposta provvisoria, frutto della ricostruzione linguistica e psicologica del testo. → FUDEDUR funziona come dispositivo iniziale del processo interpretativo.
Ricerca storica (Dilthey)
Lo storico si domanda: Che cosa significava questo evento per coloro che lo hanno vissuto? E fornisce una risposta ricostruita attraverso fonti e testimonianze. → Il movimento domanda-risposta è il nucleo dell’interpretazione storica.
Comprensione giuridica (Gadamer)
Il giudice si interroga sul significato di una norma: Che cosa intendeva il legislatore? Offre una risposta che tiene insieme tradizione, contesto e caso concreto. → FUDEDUR diventa la forma elementare del “giudizio situato”.
Psicoterapia ermeneutica (Ricoeur)
Il paziente elabora domande su di sé e tenta risposte narrative, che costruiscono la propria identità interpretativa (Sé come un altro, 1990). → Il processo domanda-risposta è un dialogo ermeneutico che costruisce il sé.
4. Perché il FUDEDUR è un paradigma e non solo uno slogan
Il FUDEDUR è spesso interpretato come un invito a parlarsi addosso, a simulare un’intervista immaginaria. Ma la sua forza non risiede nell’ironia, bensì nella struttura dialogica che propone. Esso:
- mette in moto un processo riflessivo,
- costringe a esplicitare i presupposti,
- invita a interrogare il significato,
- produce interpretazioni contestuali.
In altre parole, FUDEDUR è un dispositivo che traduce in forma colloquiale ciò che l’ermeneutica elabora come metodo filosofico: l’idea che la comprensione nasca dal movimento tra domanda e risposta, tra il sé interrogante e il sé interpretante.
Fonti principali
- F. Schleiermacher, Hermeneutik und Kritik, 1838.
- W. Dilthey, Einleitung in die Geisteswissenschaften, 1883.
- H.-G. Gadamer, Wahrheit und Methode, 1960.
- P. Ricoeur, Temps et récit, 1983-1985; Soi-même comme un autre, 1990.
- E. Betti, Teoria generale dell’interpretazione, 1955.